martedì 23 settembre 2008

PILLOLE DI SAGGEZZA_9

La salût e je alc di plui larc e profont dal jessi a puest cul colesterolo e cui trigliceridis. Ancje il purcit, biât, al sclope di salût. Par chel o dîs che dongje des trasfusions dal sanc a coventin altris trasfusions. Par esempi trasfusions di culture. Un popul che nol rive a meti, in tal cjaruç incolm de spese, ancje un libri o che nol à timp di cognossi, stimâ, tramandâ la so culture, storie, lenghe, esperienze, nol è san o al è san dome cul cuarp e duncje in pericul di jessi doprât come un mus, che si lu preferis san. Un popul che nol dopre il so cjâf, al ven doprât.

La salute è qualcosa di più che avere colesterolo e trigliceridi nella norma. Anche il maiale, poveretto, scoppia di salute! Per questo occorre che accanto alle trasfusioni di sangue ce ne siano di altre. Per esempio: trasfusioni di cultura. Un popolo che non aggiunge al carrello della spesa anche un libro o che non trova il tempo per conoscere, apprezzare, tramandare la propria cultura, storia, lingua esperienza, non è affatto sano o perlomeno è sano solo nel corpo e dunque a rischio di essere utilizzato come un asino, che si vuole sempre sano. Un popolo che non usa la propria testa, viene usato!

sabato 20 settembre 2008

ACCANIMENTO TERAPEUTICO SUL FRIULANO DI PRE BELLINA

In questi giorni ho avuto l’impressione che nei confronti delle opere di pre Toni si sia esercitato una sorta di accanimento terapeutico, manovrato involontariamente dai detentori della sua eredità culturale.
E’ sembrato che pretendere di leggere le opere di pre Toni in lingue diverse dal friulano avrebbe, inevitabilmente, provocato una “disidratazione mortale” della vitalità del suo semplice modo di esprimersi in madre lingua. In qualche modo si è cercato di comunicare che qualsiasi traduzione avrebbe “disonorato” e umiliato gli ideali di pre Toni.

Non è servito a nulla sottolineare che gli scopi di pre Toni andavano conservati e perseguiti con mezzi culturali adeguati al popolo friulano ma che , tuttavia, andavano ascoltate anche le altre voci come quella di Lea. “…ho fotocopiato il De Profundis per donarlo ad un’amica malata…Traducete i testi di questo Prete, non per tradire il Friulano,ma perché meritano di far crescere in Cristo ed in umanità altra gente, oltre ai friulani.” Oppure come scriveva Patrizia: “Non credo si faccia onore alla sua persona imbalsamandolo….Non possiamo soffermarci solo a
un pre Toni friulanista, sarebbe come tradire quanto c’era di “universale” in lui”.

Ma non basta. Sembrerebbe che per onorare pre Toni si debba insistere nel negare qualsiasi traduzione, soprattutto in italiano, in quanto se lui avesse pensato di farla la avrebbe fatta da sé: cence bisugne di tradutôrs!, come ci scrive Mauro.
A parte che non ho mai sentito di uno scrittore, traduttore di se stesso (né Borges che parlava e scriveva in sette lingue, né la Fallaci che conosceva l’inglese quanto l’italiano!) a nessuno e non solo ai suoi amici, può venire in testa di negare che pre Toni avrebbe potuto fare anche questo: tradursi. Non lo ha fatto, perché non era un deficiente.

Su questo blog parlo solo di pre Antoni Beline. Ebbi l’opportunità di intervistarlo diverse volte. Ogni intervista fu un evento. I suoi amici allora mi dissero che ci fu un aumento di richieste dei suoi libri. La curiosità che il personaggio suscitava era nata prima della sua scomparsa, anche se Mauro sostiene che tutta questa smania di traduzione (scjas dal voltâ) sia venuta post mortem.

Io volevo bene a pre Toni. Ora che cerco di mantenere viva la sua presenza dopo essere stato il primo con Alfio Englaro a chiedere un riconoscimento ufficiale (laurea ad honorem), mi si dice che lui, non avrebbe acconsentito alle traduzioni in italiano, ma non è vero e ci sono i testimoni! Come si può pensare che pre Toni non avrebbe autorizzato alcuno a trasmettere il suo messaggio umano e di fede?

A scanso di equivoci, quando parlo di traduzioni, non mi riferisco a “La fabriche dai predis” che soddisferebbe solo delle curiosità, ma alla bellisima trilogia “Il timp das domandis”, le quattro raccolte de “Cirint lis omis di Diu” e il libro più teologicamente impegnativo “Et incarnatus est”, per non parlare del quasi sconosciuto “Fortunât il popul che il Signôr al è il so Diu”, che potrebbe essere adottato come un libro di testo per tutti gli studenti di teologia. Gli altri scritti, tutti belli e gustosi hanno un orizzonte prevalentemente friulano e solo in seguito potrebbero essere riproposti in altra lingua.

E invece no: “Se vuoi questo è perchè pensi soltanto soldi (???), sei uno che travisa il suo pensiero, amico dell'ultima ora...e senza rispetto per Glesie Furlane” in sintesi, uno che ha letto tutti i suoi libri, ha ricevuto l'onore di collaborare al suo ultimo libro scritto in italiano, e non ha capito nulla di quanto diceva: insome un cjastron!

(Fra un po' si arriverà a dire che “La fatica di esser prete” è stato un imbroglio architettato contro un pre Toni non consenziente!).

Quanti ne ha conosciuti il povero Pre Toni che non sapevano mettere in discussione le proprie scelte!!! E san dut lôr!

INSISTERE SUL FRIULANO PER NON “DISONORARE” PRE TONI E’ UNA PARTE DI VERITA’ MA IMPEGNARSI PER RENDERLO INACCESSIBILE AI PIU’ E’ UN ACCANIMENTO INCOMPRENSIBILE.

Mauro ci invita a non fare “cagnare par di bant”. Ha ragione. Lo invito a scorrere le oltre cento pagine di questo sito e a dirmi se vi trova inutili “cagnare”.

lunedì 15 settembre 2008

OSCURANTISMO DA NON EXPEDIT

Riferiamo la riflessione dell'unico traduttore, con il consenso di pre Toni, del bellissimo libro De Profundis.
Bellinetti, uomo di cultura e scrittore, si chiede se abbia un senso un non expedit circa la divulgazione delle opere di pre Toni. Personalmente sono convinto che pre Toni era un uomo di comunicazione ed avrebbe rimosso ogni ostacolo alla diffusione della Parola che, come prete, aveva il compito di diffondere.

Marino Plazzotta

Mi permetto di fare anch'io qualche considerazione sul dibattito ( polemica?) scoppiato in questi ultimi giorni sulla traduzione dei libri di don Bellina. Dico subito che mi sembra eccessiva e quasi provocatoria la dichiarazione di Glesie furlane , diventata poi titolo "cubitale" sul Messaggero "Giusto non tradurre i libri di Bellina in Italiano", che del resto era stata preceduta da un comunicato ufficiale di qualche mese fa , una specie di vero e proprio dicktat.

Mi chiedo in base a che cosa, a quale astruso ragionamento , a quali alte motivazioni non si dovrebbe tradurre Bellina dato più che lui stesso nell'ultimo periodo della sua vita aveva accettato tranquillamente di "farsi tradurre". Certo don Bellina -questo lo sanno tutti- amava la sua lingua nella quale si esprimeva e pensava e scriveva, esprimendo anche per nostra fortuna contenuti di altissimo livello. Ora come si fa a credere che sia giusto negare a una qualsiasi persona di cultura e lingua diversa ( ci siamo mai chiesto quanti friulani stentano o non gradiscono di leggere nella loro lingua?) di avvicinarsi, di apprezzare i libri di Bellina. Mi pare oscurantismo puro. Evidentemente gli amici di Glesie furlane hanno deciso e si accontentano di ritrovarsi fra di loro a leggersi le opere del loro "maestro", gelosi di ogni "straniero".

Gianni Bellinetti , traduttore del "De Profundis" col consenso l'aiuto l’incoraggiamento di pre Toni .


sabato 13 settembre 2008

LA FEDE IMPOSSIBILE

Sulla cima della torre diroccata di Coia (Tarcento) resiste aggrappato un fico. Non posso evitare di riprendere questo pensiero di pre Toni.

Fede come istint e fuarce di vivi. O ài vùt mut di intivami, in tai miei girs di torseon o singar romantic, in robis che mi àn fat unevore pensa. Passant dongje di cualchi maserie, o viodevi a spuntâ, framieç dai rudinaz, une rosute piçule, puare ma sane. Di une fressure di un vecjo mur o viodevi a cucâ fûr un frosc di jerbe o adiriture une plantute. Mi visi che, ogni volte che di Codroip, là che o eri capelan, o passavi par Visepente, il voli mi scjampave sù in te spice dal cjampanili, là che a erin nassuz e cressuz tre biei arbui, e o disevi: "La int no iu cognos, ma chei vespui lì e àn fiât di vendi a lâ a nassi lassù". Passant par une strade asfaltade, mi à capitât plui di une volte di viodi a cucâ fûr, dopo di vê sbusât l'asfalt, un biel çuf di tale de plui preseade. Ancje là che la int a bute ogni sorte di scovacis e porcariis o ài vût mût di viodi rosis e plantis che al è dificil cjatâ­lis in terens e in situazions normals. E mi soi dit ogni volte:"Cjale ce fuarce, ce istint di vite!". Al è come se o ves dit: "Cjale ce fede!". Parceche Diu nol è dome veretat, al è ancje vite e là che e jè vite, ogni sorte di vite, e jè partecipazion a Diu, ancje se no te maniere che a intint par solit la teologje catoliche, che e à di de fini e cataloga dut e che no pò vivi cence schemis e etichetis. (Pre Toni Beline, La fadie dal crodi ,pag. 145)


giovedì 11 settembre 2008

PILLOLE DI SAGGEZZA_8

Lis robis matereâls, cuant che a passin di un a chel altri, a fasin deventâ plui puar chel che al dà e plui siôr chel che al cjape, ma cu lis robis spirituâls al è diferent. Par chel che o varessin di usâsi a scambiâ mancul materie e plui spirt, mancul robis e plui anime.

Le cose materiali, quando passano da uno all’altro, impoveriscono colui che dà ed arricchiscono chi le riceve. Ma nelle faccende spirituali è diverso: per questo dovremmo abituarci a scambiarci meno materialità e più spiritualità: meno cose e più anima.

sabato 6 settembre 2008

PRE BELINA NON PARLAVA SOLTANTO A CHI SA IL FRIULANO

(da Messaggero Veneto di oggi Sabato 6 settembre)

Povero pre Bellina così vicino alla gente, così attento all’animo umano!: «Cosa posso fare, come posso aiutarti? Avvicinati, entra, bevi un sorso d’acqua, siediti qui. Vediamo se posso esserti di aiuto e, se non posso alleviare le tue pene, cercherò di condividere la tua sofferenza, anche se non concordo con le tue idee e scelte». È impossibile che queste sue parole fossero rivolte solo alla gente che sa leggere il friulano! D’accordo, non dimentico le sue battaglie, le sue lotte a “difesa della dignità, della libertà, della autonomia del popolo friulano”, ma era un prete e non aveva in testa solo il friulano! L’ho conosciuto nell’anno 2000 e da allora ho sempre continuato a dialogare con lui fino a pochi giorni prima della sua morte. Per me, la decisione di non tradurre i suoi libri in italiano è incredibile, assurda. Come si può pensare di far conoscere i suoi principi, i suoi valori, costringendo l’umanità a imparare la lingua friulana? Nella letteratura mondiale ci sono esempi simili solo nei paesi totalitari. Pre Bellina credeva in «una Chiesa comunitaria, dove c’è posto per tutti». Non voglio credere che a prendere quella decisione siano stati proprio «quelli che dicono di essere stati suoi amici fino all’ultima ora». A un certo punto, dopo le interviste televisive, pre Bellina si è accorto che la gente lo cercava e desiderava ascoltare le sue parole. Come si spiega la sua decisione di scrivere il libro intervista “La fatica di essere prete” in italiano? Come mai pre Bellina autorizza il prof. Bellinetti (veneto di Rovigo) a tradurre per la prima volta un suo libro il “De Profundis” in lingua italiana? Chi ha letto la presentazione di questo libro capisce anche il pre Bellina dell’“ultima ora”. Scive Bellinetti: «...gli chiesi se era sempre d’accordo che provassi a tradurre il “De Profundis”, – ma sì, va indenant – mi rispose». Nella postfazione del libro si legge: «La mia storia personale e il modo con cui l’ho vissuta e la sto vivendo, senza nulla di eroico ma con tutte le contraddizioni e le incertezze e le speranze che una malattia lunga come la vita comporta, possa aiutare altri fratelli ad affrontare e a vivere con dignità, positività, e serenità la loro situazione di sofferenza e di limitazione fisica e psicologica». Perché ha dato fastidio il successo di questi due libri? Ha dato fastidio, forse, il fatto che pre Bellina, ancora in vita, avesse dato spazio anche all’italiano? Secondo me chi ha posto il veto alla traduzione dei suoi libri non solo non ha letto la presentazione e la postfazione della traduzione del “De Profundis”, ma nemmeno conosce bene l’evoluzione del pensiero, di pre Bellina. Come si spiegherebbe, altrimenti, anche il fatto che fu lui a consegnare il testo italiano, de “La fabbrica dai predis” all’editore della Biblioteca dell’Immagine, di cui sono stata testimone oculare? Da uomo libero, traduttore della Bibbia a uomo blindato che è giusto “non tradurre”, come a quei tempi “era giusto” non parlare in friulano. Credo sia una responsabilità pesante per chi se l’è presa e la difende.
Maria Cudicio
Buttrio


mercoledì 3 settembre 2008

IMPEDIRE DI TRADURRE BELLINA: UN SUICIDIO CULTURALE

Riprendiamo dal Messaggero Veneto (03.09.08) un brano dell’articolo dell’antropologo prof Gri che sintetizza, efficacemente, quello che è la nostra convinzione sul comunicato di Glesie Furlane ( v. intervento anteriore).

"Ho letto in questi giorni che l'erede del patrimonio ideale di Pre Toni Bellina, il gruppo di Glesie Furlane, ha ribadito la ‘doverosa opposizione alla traduzione dei suoi libri in italiano’. Destino paradossale, per uno scrittore che ha dedicato energie inesauste alla pratica della traduzione! Come erede del patrimonio ideale di Giorgio Ferigo, l' associazione che si è costituita a suo nome la pensa in termini esattamente opposti. Impedire il gioco del reciproco specchiarsi garantito dalle traduzioni è una sorta di suicidio culturale; è un protezionismo miope che non tutela nulla e nulla garantisce. Mi sembra di sentire Giorgio: gli artigiani si rubano da sempre i segrete del mestiere con gli occhi, e non ci sarebbero umanità e conoscenza se non ci rubassimo reciprocamente idee e parole.Le culture e le lingue - tutte, senza eccezione - sono entità reciprocamente debitrici, in ogni loro aspetto. Proprio la pratica della buona traduzione, della traduzione continuamente ripensata e perfezionata, come quella praticata da Giorgio Ferigo, è garanzia di confronto, vitalità e crescita."

Si può essere furlanists cence jessi fondamentalists?